A SIENA I PM PRESENTANO IL CONTO di Umberto Baldo

Dopo qualche giorno in cui abbiamo parlato d’altro, è tempo di ritornare all’ovile, cioè alle vicende del Monte dei Paschi.
Quelle giudiziarie innanzi tutto, in quanto venerdì, al processo in corso a Siena, l’accusa, come si suol dire, ha “presentato il conto”.
Ce ne riferisce il Sole 24 Ore: “Condannare l’ex presidente di Mps, Giuseppe Mussari, a sette anni di reclusione, Gian Luca Baldassarri e Antonio Vigni, ex capo area finanza ed ex dg, a sei anni, senza le attenuanti generiche. È questa la richiesta avanzata ieri in aula dal pubblico ministero Giuseppe Grosso al termine della requisitoria nel processo per la ristrutturazione del derivato Alexandria. I tre sono imputati di ostacolo alla vigilanza di Banca d’Italia per aver nascosto – è la tesi dei magistrati – il mandate agreement che realizzava il collegamento negoziale fra la ristrutturazione di Alexandria e l’operazione BTP 2034: operazioni che hanno celato ai controllori il reale stato patrimoniale e finanziario della banca, pregiudicandone le sorti fino ad oggi. «L’operazione BTP 2034 fa la parte del leone nel condizionare il destino della banca portandola a un passo dal fallimento, con i Tremonti bond, i Monti bond, la crisi di liquidità, la chiusura delle filiali, i licenziamenti e ora l’aumento di capitale da 5 miliardi. È un fatto gravissimo». La Banca d’Italia, che è parte civile nel processo, ha chiesto alla corte di condannare gli imputati ad una pena «determinata secondo giustizia» e al «risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali calcolati dalla corte in via equitativa».

Grosso, al termine di una requisitoria durata oltre otto ore nella quale si sono succeduti tutti e tre i magistrati che hanno condotto le indagini, ha parlato di un «castello di bugie raccontato in aula dagli imputati» che hanno «edulcorato i bilanci di Banca Mps e annacquato le perdite, perchè la realtà avrebbe fatto emergere la totale incapacità del top management». Secondo il pm, Baldassarri, era «solo il braccio esecutivo di questa operazione. L’interesse, la strategia e le decisioni stanno altrove, sopra Baldassarri, nei vertici», ovvero in Mussari e Vigni. «Baldassarri sapeva il fatto suo, era l’uomo giusto al momento giusto, serviva per annacquare le perdite della banca nel mare torbido della finanza creativa. Altrimenti, perchè non allontanarlo?».

Nella sua requisitoria, il magistrato ha descritto Mussari come «il dominus di Mps, il padre padrone dalla personalità debordante, quello che in una notte alza il telefono e decide di impegnare la sua banca per 17 miliardi». E non è vero che l’ex presidente rivestiva un ruolo meramente formale. Al contrario, «aveva un ruolo attivo, è competente in materia finanziaria, non è uno sprovveduto».

Antonio Vigni è stato invece definito dal pm, citando le parole pronunciate in aula dallo stesso Mussari, «mite e leale». «Era del territorio, il garante degli equilibri e preoccupato dello status quo. Sa che avevano buttato alle ortiche un immenso patrimonio, è cosciente che avevano portato la banca sull’orlo del precipizio. Ed infatti è lui che nasconde il mandate agreement».

Nel tracciare un affresco di come all’epoca funzionavano le cose al Monte, il magistrato ha detto che la banca «è stata gestita come sempre è stato fatto a Siena». Nei confronti di coloro che segnalavano i rischi dovuti alla ristrutturazione di Alexandria «si è alzato un muro di gomma, pensando che alla fine qualcuno se ne va…».

Non proprio un giudizio lusinghiero sulla città, quello dei PM. Ma che Siena abbia assistito senza fiatare al sacco della Banca e del territorio, lo avevamo capito da tempo.

Venendo ora all’aumento di capitale ormai in corso, qualche giornalista si è preso la briga di andarsi a leggere il prospetto informativo dell’operazione.

Vi riporto al riguardo la prima parte di un articolo comparso su Il Fatto Quotidiano: “Altro che “non è più un problema per il sistema bancario italiano e per questo Paese”, come il presidente Alessandro Profumo aveva dichiarato dopo il via libera dei soci all’aumento di capitale da 5 miliardi di euro del Monte dei Paschi di Siena. Aumento che partirà lunedì prossimo con uno sconto del 35,5% sul prezzo teorico dell’azione dopo lo stacco del diritto, come stabilito giovedì dal cda guidato dal consigliere delegato Fabrizio Viola. Dal prospetto informativo dell’operazione, che è stato reso pubblico venerdì, emerge invece che, “anche nell’ipotesi in cui la banca dovesse realizzare con successo l’aumento di capitale”, nel caso in cui il piano di salvataggio del Montepaschi non dovesse raggiungere, in tutto o in parte, gli obiettivi previsti, la Commissione europea potrebbe chiedere “il soddisfacimento di ulteriori condizioni anche peggiorative”.

Inoltre, in questo scenario la banca potrebbe tornare di nuovo davanti alle autorità competenti per la presentazione di un nuovo piano. Che, si legge nel documento con tutti i dettagli sulla ricapitalizzazione, ”potrebbe includere, tra le altre cose, un cambio del management, nuove politiche di remunerazione e di distribuzione di dividendi, ulteriori emissioni di strumenti di capitale (cioè nuove ricapitalizzazioni, ndr) con effetti diluitivi, anche significativi, per gli azionisti esistenti” e “con possibili effetti negativi sull’attività e sulla situazione economica, patrimoniale e/o finanziaria della banca e/o del gruppo”. Insomma: inevitabilmente sarebbero chiamati in causa gli azionisti della banca senese. Ma, molto probabilmente, anche il Tesoro, al quale la banca di Rocca Salimbeni deve restituire 4 miliardi di aiuti di Stato (i cosiddetti Monti bond). Il saldo dei primi 3 miliardi dovrebbe avvenire, se l’aumento va a buon fine, entro fine giugno.

Ma, avverte il prospetto, la banca dovrà superare anche gli “esami” (asset quality review) condotti dalla Bce a partire dal novembre dell’anno scorso. E qualora il verdetto finale, atteso per il prossimo autunno, evidenziasse che sono “necessarie ulteriori rettifiche dei crediti, anche significative”, “potrebbero rendersi necessari nuovi interventi di patrimonializzazione dell’emittente”. Come dire che per i soci che aderiscono al maxi aumento della prossima settimana potrebbe arrivare a breve un’ulteriore richiesta di fondi. Per gli altri – coloro che non sottoscriveranno la ricapitalizzazione da 5 miliardi – il problema è relativo, ma semplicemente perché il valore della loro quota azionaria ne uscirà ridotto fino a “un massimo del 97,7%………”.

Che dire? Onestamente mi stupisco un po’ dello “stupore” dei giornalisti del Fatto Quotidiano, scusandomi per il bisticcio.

Che i problemi del Monte fossero del tutto superati non l’aveva mai detto nessuno, per la verità. E trovo lodevole che, illustrando l’operazione di aumento in corso, il management abbia onestamente chiarito ai sottoscrittori che qualche rischio sul futuro della Banca sia ancora presente.

Ma stiamo parlando di un eventuale “fallimento del Piano Industriale”, o del mancato superamento degli stress test della Bce! Ipotesi che, se dovessero malauguratamente verificarsi, indubbiamente costringerebbero Mps ad ulteriori “tagli”. Ma che, a onor del vero, allo stato sembrano piuttosto improbabili.

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