Call center post vendita: la Corte UE vieta l’applicazione degli 199

In un’epoca di consumismo esoso e sfrenato quale è quella attuale, lo spettro delle modalità d’acquisto di un bene, di cui può fruire un consumatore, è molto ampio; tra di esse, primeggia certamente l’acquisto tramite via telematica.

Tale tipologia di contrattazione appare rapida e sicura ma non consente al consumatore un immediato riscontro del bene acquistato. Ciò può generare l’insorgere di contestazioni che, in fase di reclamo, sfociano spesso in ripetute telefonate al call center post vendita, predisposto dall’azienda produttrice del bene.

Sino ad oggi, molti di questi servizi hanno utilizzato numerazioni commerciali a tariffe maggiorate e riconducibili al prefisso “199”, generando un ulteriore abuso nei confronti del consumatore, costretto a servirsi del suddetto servizio per segnalare i vizi relativi al bene acquistato.

Finalmente, la corte di Giustizia Europea, interpellata da un tribunale tedesco in merito ad una Direttiva sui diritti dei Consumatori, ha sancito il principio per cui il costo di una chiamata verso un numero telefonico per l’accesso ad un servizio di assistenza post vendita non deve eccedere quello di una chiamata standard.

Le motivazioni di tale sentenza risiedono nel fatto che l’addebito di costi eccessivi potrebbero dissuadere il consumatore dal contattare il call center per vedere riconosciute le proprie contestazioni; ciò determinerebbe un’anomala, nonchè illecita, compressione dell’alea dei diritti del medesimo.

Secondo i giudici della UE, la “tariffa base”, applicabile a questi servizi, non deve eccedere il costo di una chiamata verso un numero fisso geografico o verso un numero di cellulare standard.

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